Testimone: Anna Rovera nata a Dronero il 27/02/1909, morta a Bra nel maggio del 2002
Intervistatrice: Elena Rovera
Luogo e data della registrazione: Bra, 22 marzo 1996
Intervistatrice: Petin Menin cosa vuol dire?
Testimone: Io non so, io credo che era piccolo, io credo che fosse piccolo, lo dicevano Petin Menin perché era piccolino.
Intervistatrice: Senti una cosa: le drave, le drave
Testimone: Non so.
Intervistatrice: Sì, sì, ma volevo sentire per dire dove, vengono dove c’è dell’umidità, neh?
Testimone: Là al Bial, sai nel nostro prato lì, quante ce n’è, eh, mi sembra, ho sempre pensato che era lì, noi pensavamo che era lì anche quando raccontavano quella storie.
Intervistatrice: E le mucche le mangiavano le drave?
Testimone: E le mangiavano, sì, sì, sì, noi le tagliavamo, le davamo a mangiare, non è che gli piacessero proprio tanto, ma le mangiavano.
Intervistatrice: E la drava, le drave servono anche per curare qualche male? qualche cosa?
Testimone: Non voglio credere, noi le prendevamo, le andavamo a prendere, era d’estate, che facevamo il burro, poi si faceva, si faceva molle, poi d’estate noi lo portavamo a Dronero, lo mettevamo nella drava, e questa lo teneva fresco, lo portavamo fino a Dronero.
Intervistatrice: E per, tante volte per bere l’acqua prendevate le drave, mio papà per bere l′acqua alla fonte, faceva il bicchiere con la drava, perché le dava un gusto anche all’acqua, un profumo.
Testimone: E un briciolino, si sentiva l’odore della drava, noi facevamo un secchiellino, e poi prendevamo l’acqua.
Intervistatrice: Che cosa vuol dire il nome ‘drava’, non sai cosa vuol, secondo te?
Testimone: Noi dicevamo le drave perché, forse perché erano grandi, era un’erba che viene, e vengono dove c’è l’acqua, vicino al Bial là.
Intervistatrice: Senti una cosa: secondo te, nella tua mente, questa regina, allora questa regina lì viveva vicino a Codighiu con suo figlio andava al pascolo al Bial.
Testimone: Sono io che dico quello.
Intervistatrice: E tu dove te lo immagini che viveva la regina?
Testimone: Ma io della regina e dove vivevano non so, ma io che mi immagino che l’avessero portato là dove c’erano le drave.
Intervistatrice: E perché secondo te poteva, tu te lo immagini il figlio del re che va al pascolo, così poteva essere nella tua mente, sì?
Testimone: E il ragazzo andava , erano i suoi fratelli, i suoi che lo portavano, perché dice che era piccolino come un bambolotto, dice che i suoi fratelli se lo ….
Intervistatrice: E quello lì era un re che aveva della campagna, che aveva anche delle mucche?
Testimone: Ma era la tenuta di quella gente, sai, sai che nel, loro han delle tenute grandi, che c’è l’acqua, che c’è di tutto.
Intervistatrice: Senti una cosa: quando Petin Menin dentro la mucca che le prendono il latte non risponde anche: “Na i è mac per mi”, quando dice : “Morio, dame du lac”, non dice “Na i è mac per mi, na i è mac per mi”?
Testimone: No, noi non dicevamo quello lì, noi dicevamo così, dicevamo : “Cagame, Morio”.
Intervistatrice: “Cagarne, Morio”. Mi dici: ‘moiro’ è ‘moiro” o ‘morio’?
Testimone: Noi dicim ‘Morio’ perché la mucca è scura.
Intervistatrice: “Morio” vuol dire ‘scura’?
Testimone: Eh, scura, una mucca scura.
Intervistatrice: Mi dici dei nomi delle mucche che hai avuto tu, che avevate lassù, degli altri nomi delle mucche?
Testimone: Ma, sì, ma quelle morie, no non avevamo morie, noi avevamo una che si chiamava Candì, poi avevamo Bianca, oh, già, e poi ne avevamo una che si chiamava un nome e poi una che si chiamava Pumin, Pumin, era piccola, piccola, rossa rossa, e invece qualcuno ne aveva di quelle morie, ma noi non ne abbiamo mai avuto morie, le nostre erano bianche, poi avevamo allevato un vitellino di quella bianca, e la chiamavamo Bianchetta, quell’altra l’avevamo proprio allevato noi, sai, la portavamo al pascolo, ohhh, l’abbracciavamo e quel vitellino, era una mucca là, non un maschio, una mucchetta, oh, era venuta brava, si chiamava Bianchetta, perché la sua mamma si chiamava Bianca e noi la chiamavamo Bianchetta.
Intervistatrice E poi c’era qualcuno che aveva delle altre mucche che ti ricordi tu che aveva qualche nome che ti è rimasto in mente?
Testimone: Dei nomi? Eh, mio nonno ne aveva una grossa, quella si chiamava, quella la chiamavamo Pastura.
Intervistatrice: Pastura.
Testimone: Pastura, Pastura.
Intervistatrice: E poi avevate anche delle capre?
Testimone: Ah, di capre ne avevamo, noi ne tenevamo poco, ne avevamo avuta una perché quando avevamo i vitellini e gli davamo tutto il latte ai vitellino e ai bambini poi, allora quella capra prendevamo il latte per, per bere un po’ noi, ma noi non ci piaceva quel latte della capra, sembrava un po’ forte, e qualche capra aveva il latte forte, dicevano, qualcuno diceva: “Oh, la mia l’hanno buono, dolce”, e noi, la mamma diceva: “Mmm, brava la capra, fa anche tanto latte, ma il latte non è, sentiva un po’ di capra.
Intervistatrice: E come si chiamava la vostra capra?
Testimone: Oh forse la ciamavan Magel, Magel.
Intervistatrice: Magel? Cosa vuol dire? Cosa vuol dire Magel?
Testimone: Eh, Magel, allora quella veniva, come chiami il cane.
Intervistatrice: E dei cani ne avevate?
Testimone: Sì, il cane l’avevamo, sì, sì, il cane l’avevamo, si chiamava Canilu.
Intervistatrice: Canilu?
Testimone: Canilu? Quando io ero ancora piccola, si chiamava Canilu, e magari era lassù al
Fianin, e tu, noi da laggiù, da casa, avessimo chiamato ‘Canilu’, in un attimo arrivava.
Intervistatrice: Com’era?
Testimone: Era un po’ rosso, un po’ rossiccio.
Intervistatrice:. Ma grande, piccolo?
Testimone: . Eh, non tanto grande, non tanto piccolo, non come il nostro che è piccolino.
Intervistatrice:. Dove l’avevate preso, non sai?
Testimone: . Oh, non lo so.
Intervistatrice: E dove lo tenevate il cane?
Testimone: . Eh?
Intervistatrice:. Il cane, girava libero per Codighiu o aveva un posto?
Testimone: Ho, no, lasciavamo girare per Codighiu, era bravo.
Intervistatrice:. Ce n’erano degli altri cani?
Testimone: . Oh, ce n’erano, i nostri, quelli della famiglia di mio Marito, mi ricordo, l’han sempre avuto, era piccolino, lo chiamavano Fisch, Fisch, un cagnetto, e poi c’era quello di Ciafrulin che aveva anche il cane, lo chiamavano Rosso, perché aveva il pelo rosso, quasi come il nostro che abbiamo, un po’ più rosso, gli sembrava, mi ricordo di quello, aveva anche il musetto così, quello di Ciafrulin, e poi c’era quei di Giaculinet, e ne avevano uno bello grosso, era bravo, quello era bianco e nero, grosso, bianco e nero, eh, quelli lì avevano i cani.
Intervistatrice: Senti una cosa: le mucche le tenevate tanti anni e quanto latte vi facevano da fare il burro; cosa facevate: burro? Formaggio,no?
Testimone: Sì.
Intervistatrice: Anche il formaggio. Che formaggio facevate?
Testimone: . Ma tenevamo, ah, tu non sai, mi sembri che tu devi sapere, che formaggio? noi prendevamo la panna per fare il burro, poi la facevamo quagliare, più grossa che quella lì, la padella, facevamo quagliare e quando poi la mettevamo, quando era quagliato come fosse adesso, come dite quello che comprate?
Intervistatrice: La ricotta.
Testimone: La brusa, eh, la ricotta, la brusa.
Intervistatrice: Come si chiama? La brusa?
Testimone: La brusa.
Intervistatrice: La brusa, brusa.
Testimone: La brusa, quella era ben legato lì, facevano scolare, quello si scolava lì, quando era ben scolato, si prendeva, si sbriciolava ben con le mani, per esempio lì in un bel piatto grosso, quella si metteva, ma noi avevamo quello da fare, certo che i nostri l’avevano lassù, eh , gente, allora aveva una cosa, lo chiamavamo la ‘fissella’, che aveva dei buchi intorno e mettevamo lì, noi chiamavamo le reirole, era delle pezze apposta, mettevamo quella brusa lì ben stretta, tutto a posto, e la mettevamo anche in quella cosa lì, poi gli mettevamo una pietra sopra, la lasciavamo stare lì un giorno, un giorno e una notte, allora poi prendevamo, la giravamo lì, metti che la giri sul tavolo, e quella faceva un, come fosse un panettone.
Intervistatrice: Mmm, una formaggetta, sì.
Testimone: Come fosse un panettone, aveva preso la forma di quella fissela che l’avevamo messa dentro la pietra che l’aveva, e sembrava un panettone, e poi la mettevamo su un asse, avevano tutti quell’asse il nostro, io non so se è più nella nostra cantina, perché chissà quanto, io non son mai più andata, avevano un asse che era attaccato da una parte all’altra e lo mettevano lì e maturava.
Intervistatrice: Lo mettevano in cantina al fresco o lo tenevano nelle case?
Testimone: Nella cantina, nella cantina maturava, io non so più, stava un po’ a maturare, a fare il formaggio buono, poi diventava un buon formaggio.
Intervistatrice: E poi lo vendevate quello lì o lo mangiavate voi?
Testimone: Eh?
Intervistatrice: Lo vendevate o lo mangiavate voi?
Testimone: Ma noi lo mangiavamo perché, ma, ce n’era qualcuno che veniva a cercare che, qualcuno diceva: “Non avete del formaggio?”. E non ne vendevamo mai, ma io ne ho venduto qualcuno quando ero sposata, e, ma prima a casa nostra no, perché eravamo tanta gente, non è che.
Intervistatrice: Invece il burro lo vendevate?
Testimone: E lo vendevamo perché eravamo scemi, dico scemo , ma è perché che ne avevamo bisogno, oh, il nonno, qualche volta, il nonno, il nonno mio a sua casa, c’era uno, mio zio, che è quello che è morto alla guerra dell’Africa, ma non poteva sentire il formaggio, io ho Sergio ancora, come Sergio nostro, il formaggio per carità e quando facevamo la polenta, eh , lui, ci davano un po’ di formaggio, ma quel ragazzo no e allora il nonno diceva, si chiamava Pinotu,: “A Pinotu fagli cuocere un uovo”, diceva alle mie zie “Fagli cuocere un uovo”, io ero là che guardavo quell’uovo, l’avrei mangiato con gli occhi, con gli occhi l’avrei mangiato, e mia mamma non ce lo dava mica, non è che avevamo tante galline, perché, ma ne avevamo due, due o tre galline e port, facevamo una dozzina, guardava per farne una dozzina d’uova, portarle a vendere, per dire, quella, la miseria della vita.
Intervistatrice: E anche il burro, lo facevate, poi lo vendevate?
Testimone: Eh, e la mamma ne toglieva un briciolino, un pezzetto, e poi diceva, noi facevamo le raviole alla domenica, solo alla domenica, e allora prendeva un pezzetto di burro, lo toglieva dall’altro, poi l’altro lo faceva bene; e quello lì lo metteva lì nel piatto e domenica facevamo poi le raviole, le raviole unce, e mia sorella Maria, quella, quella di Casale, a lei piaceva, io non mi piaceva, non mi è mai piaciuto neanche adesso il burro o la tuma quella molle, non posso, non posso e allora mia mamma gliene dava un briciolino, se lo mangiava, se lo mangiava Maria e il nonno diceva: “Ma dalle ai bambini le uova, non portarle a vendere”, e a Pinotu gli facevano sempre l’uovo, e io quando andavo, perché io andavo sempre dal nonno io, siamo stati allevati là, andavo sempre, vedevo quella polenta con quell’uovo e gli dicevo: “Eh, là, il nonno ha fatto la polenta, quei di Parsé, quei di Parsé han fatto la polenta, ma a Pinotu gli han fatto l’uovo”, e l’avrei mangiato con gli occhi, oh, ma non so.
Intervistatrice: Ma è vero che, quando il nonno andava via, papà mi diceva che lui lasciava dei soldi alla nonna, quando tornava, lei, invece di averli spesi, ne aveva sempre di più, che faceva economia?
Testimone: Eh, fanno economia, e i bambini li fanno tribolare, è così.
Intervistatrice: Ma voi vi accorgevate, voi pativate, avevate fame proprio o…
Testimone: Ma proprio fame, sai, avevamo sempre del pane duro, perché quello bianc, noi dicevamo ‘di pan bianc’ allora, perché ne compravamo un chilo o due il lunedì, quando andavano a Dronero, comperavano un chilo di pan bianc, ma quello il giorno dopo davano un pezzo per bambino, era già finito, e invece quello duro, che noi facevamo con la nostra segala, di là, il nostro durava, quello durava; lo facevamo una volta, durava tutto l’anno.
Intervistatrice:. Lo facevate una volta sola all’anno?
Testimone: Eh?
Intervistatrice:. Quando?
Testimone: Ah, c’era una luna buona.
Intervistatrice: Quand’era?
Testimone: Eh, lì vicino, vicino a Natale, a quel tempo lì, e poi io lo sentivo che loro lo dicevano: “Adesso c’è la luna buona, bisogna che facciamo il pane, e tutti, eh, avevamo due forni, scaldavamo quei forni e tutta la borgata faceva il pane, tutta la borgata, e poi quel pane era buono, e noi quando era passato di due giorni, due o tre giorni, perché prima non ce lo lasciavano mangiare, dicevano che ci stumiava. “Ma quello lì sta sullo stomaco”, invece ce lo lasciavano prendere i bambini, allora la mamma diceva qualche volta che magari ci fossimo lamentati, ma perché avevamo fame e “Avete mangiato la minestra adesso, adesso avete, eh, ben va’, va’ a prendere un pane di pan, prendi un pane de pan”, e poi lo lasciavamo stare nella stanza dove voialtri dormite, non sotto, sopra, lo mettevamo là e poi quando era più duro lo mettevamo: quella grossa cascia che era, adesso non ci sarà più perché, eh, lo mettevamo lì dentro, qualche volta andavano anche i topi a mangiarlo, oh già, ecco: poi i topi, prima lo lasciavamo, volevano lasciar seccare, lo lasciavamo che diventava secco, allora cominciavamo a trovare un pane, oh, faceva un buchetto così e dentro tutto vuoto, allora mia mamma diceva: “Bisogna che mettiamo il pane in tla cassia, perché ciau” oh, ma tu non sai.
Intervistatrice E poi come si chiamava quella cosa per tagliare il pane, come lo chiamavi quella specie di coltello?
Testimone: Sì, sì, lo so, lo so, ma forse disimo un taièt, un taièt da pan, oh già, il pane era duro e mettevamo lì sotto, taio il pan, taièt da pan, perché c’era anche il taièt del fien, si tagliava il fieno, quello era il taièt del pan.Ma il taièt del fen?In quello storia di Dusin, in quella c’è, il mago aveva tagliato la testa ai fratelli di Dusin, voleva tagliarla, eh, invece Dusin era furbo, han fatto tagliare le sue ragazze, eh, ha fatte tagliare il taglietto.
Intervistatrice: Quello lì lo appoggiavate a un asse quel taièt lì?
Testimone: Eh?
Intervistatrice: Quel taièt lì lo appoggiavate a un asse oppure tenevate il pane così, lo tagliava, te?
Testimone: No, era sempre lì, come fosse lì sul tavolo e con il pane lì, arrivavamo là, mettevamo il pane sotto, poi facevamo scendere e quello faceva
Intervistatrice: E allora era tagliente.
Testimone: Oh, era tagliente.
Intervistatrice: Va bene.
Testimone: Oh, ma tu non sai quelle cose lì.