Laboratorio residenziale 26-28 agosto2022
Cifra incontra Borgata Ghio: quattro giorni di laboratorio di studio, ricerca, catalogazione e divulgazione della tradizione orale della Borgata Ghio e della regione di Moschieres di Dronero.
La compagnia Cifra nelle giornate del 26/27/28 agosto 2022, incontra Elena Rovera, dell’associazione Culturale Borgata Ghio in alta Val Maira.
Borgata Ghio, in cui al momento nessuno risiede stabilmente, conta tra i venticinque e i trenta edifici, ed è situata a 1230 metri di altezza, in un rilievo circondato da montagne. Essa presenta delle caratteristiche peculiari che hanno attirato l’attenzione di alcuni ricercatori: Borgata Ghio è un luogo ricco di storie.
Da alcuni anni il mondo dell’arte, e in particolare quello della danza, ha iniziato a interessarsi al patrimonio materiale e immateriale delle comunità umane e a interagire con loro alla ricerca di uno scambio virtuoso tra linguaggio simbolico dell’arte e ricchezza di pratiche e affetti dati dalle relazioni create su un determinato territorio.
Queste tre giornate introduttive di collaborazione tra la compagnia Cifra danzateatro e l’associazione Culturale Borgata Ghio, segnano l’inizio di un percorso che abbiamo chiamato “Atlante degli immaginari” che porterà a una vera e propria “Scuola degli immaginari”, un progetto di ampio respiro che vuole valorizzare il patrimonio materiale e immateriale di Borgata Ghio, collegandolo a un orizzonte più vasto e traendone spunto per produrre nuovi immaginari che vadano ad arricchire la memoria del luogo e non solo. L’idea è che la ricchezza culturale della zona, costituita dall’arte narratoria (fiabe, detti, canzoni), insieme agli oggetti e ai luoghi significativi, possa diventare, attraverso l’elaborazione di un atlante, un modello per stimolare una rete di nuovi immaginari, con un movimento che va dal particolare all’universale. Il progetto prevede diverse tappe che vanno dalla programmazione di laboratori aperti a tutti alla realizzazione di una piattaforma digitale, dove ogni utente avrà la possibilità di scoprire, apprendere e viaggiare attraverso le storie, gli oggetti e le memorie del luogo, ma anche di arricchirle con la sua personale esperienza. Come artisti abbiamo il compito di creare nuovi modi di interagire con il patrimonio culturale e di renderli condivisibili.
Elena, figlia di un acciugaio nato a Ghio, racconta che da sempre sente un legame particolare con il luogo: nata ad Alba ma cresciuta tra la pianura e la montagna, si sente responsabile della conservazione degli edifici di Ghio e vorrebbe che la borgata tornasse a vivere. Il mondo degli acciugai, che ha caratterizzato la sua infanzia, è uno dei mestieri tipici di questa zona, in cui un tempo gli uomini andavano fuori per lunghi periodi a vendere acciughe con il loro carretto portando così all’esterno le storie di Codighiu. Erano proprio le storie che legavano insieme le persone: il tempo della narrazione infatti è per Elena un tempo “speciale”, un tempo mitico, nel quale tutto si sospende e si crea un momento di intimità tra familiari e tra i paesani. Lo stesso modo di narrare era particolare: senza possedere tecniche teatrali, i narratori e le narratrici di Codighiu possedevano una capacità magnetica che prevedeva un particolare uso della voce. “Raccontare è creare relazione profonda, è creare relazione diretta con l’altro” dice Elena. Questa arte popolare innervava di nuova linfa i rapporti umani e consentiva lo sviluppo dell’empatia. Lei, professoressa di storia e cresciuta in questo contesto culturale, non sa immaginarsi un mondo senza storie: in questo mondo rurale popolato di donne forti e personaggi fantastici, l’arte di narrare è sempre stato un viatico contro l’isolamento e la fatica, per questa ragione Elena insegna l’arte della memoria e del racconto ai suoi nipoti.
“Questa borgata era come il mondo” afferma Elena pensando a cosa voleva dire crescere in una realtà in cui non è mai arrivata la televisione: un luogo appartato ma non isolato come dimostrano i testi delle canzoni e i racconti. In poco più di trecento metri si svolgevano tutte le vicende umane. I personaggi di questo mondo erano il reduce di guerra, l’eremita, l’ubriacone, la levatrice, l’acciugaio, la donna che tradiva il marito, il draioun (l’orco/mago): per un bambino, sostiene Elena, forse era più facile affrontare il mondo a partire da qui, incontrando già tutti i tipi umani possibili.
In questi tre giorni ci siamo avvicinati a questa realtà condividendo canti (piemontesi, occitani e pugliesi), spazi, cibo e racconti.
Inizialmente Elena ci ha mostrato i luoghi salienti della Borgata: il torrente con la fonte, dove ci ha insegnato a bere da una foglia della drava fatta a coppetta, la chiesa, la colonna cilindrica che sosteneva un’antica abitazione ormai crollata, la piazzetta, la biblioteca-museo, il luogo delle feste e infine l’abitazione più significativa per lei, il cuore dello spazio geografico di Codighiu: la casa della sua madrina, dove oggi risiedono lei e suo marito.
La madrina è per Elena una figura estremamente significativa: donna devota ma nel contempo legata al mondo “magico-popolare” locale che accoglie la presenza delle figure chiamate masche e di animali parlanti. Donna che possedeva il dono del canto, ed era per questo tenuta in gran considerazione. Elena, con sguardo pensoso, mi confessa che si sente erede di queste donne forti e in qualche modo costrette dalle condizioni sociali e culturali di privazione a rinunciare alle possibilità maschili di accedere al mondo esterno e di studiare. Ridare voce a queste donne, compiere un passo per riscattarle dal silenzio imposto utilizzando l’arte e la memoria, resa viva da nuove pratiche discorsive, è uno dei desideri di Elena.
Per avvicinarsi all’Atlante degli immaginari, nella seconda giornata abbiamo cominciato con l’incontrare gli oggetti presenti nel museo, provando a ricollocarli nello spazio della borgata, seguendo il nostro sentire: ognuno di noi ne ha scelto uno e ha composto una sequenza di cinque movimenti con e senza l’oggetto. Ne sono scaturite quattro piccole coreografie a cui Elena ha associato una canzone o un racconto: in questo caso gli immaginari hanno iniziato a stimolarsi a vicenda, ad arricchirsi e ibridarsi. E’ stato molto forte per noi entrare a contatto con questi oggetti carichi di storia ed è stato “magico” vedere come ci abbiano “suggerito” movimenti e immagini che a loro volta rimandavano a vicende reali o a altrettanti personaggi presenti nell’immaginario collettivo di Codighiu.
Successivamente abbiamo iniziato a disegnare collettivamente delle mappe della borgata e delle mappe immaginarie, ovvero disegnate seguendo una geografia soggettiva dei luoghi che rappresentasse oltre che la forma fisica della borgata, le emozioni suscitate dai racconti (reali o fantastici) e li rappresentasse in forma grafica. Vivendo lo spazio e il tempo insieme ci siamo resi conto come fin da subito il nostro immaginario abbia iniziato a modificarsi e a influenzarsi reciprocamente.
Parte integrante dell’attività di ricerca e di scambio è stata la condivisione dei canti tradizionali locali che comprendono canti di corteggiamento, canti per il matrimonio, canti di viaggio e ninne nanne. Attraverso la ripetizione delle strofe e la ricerca delle armonizzazioni abbiamo abitato il patrimonio melodico locale e ce ne siamo in qualche modo “appropriati” temporaneamente, portando nuovamente la musica sulla calatà, quella che viene chiamata da Elena la “piazza”, un piccolo spiazzo erboso al centro del paese, un tempo centro dell’aggregazione di Codighiu.
In questi giorni abbiamo anche fatto esperienza dello spazio peculiare vissuto nella borgata: la posizione particolare, di altura stretta tra alte montagne, ci ha dato inizialmente una sensazione di chiusura, esaltata dalla mancanza di orizzonte, dalla fitta vegetazione e dalla scarsità di interazione con altri paesani. Ci siamo però resi conto di come questa percezione si sia modificata radicalmente dopo aver fatto una passeggiata verso la borgata di Santa Margherita, a circa venti minuti di cammino, dove i bambini di Ghio andavano a scuola: lungo il percorso abbiamo incontrato due cappelle votive,“piloni”con splendidi affreschi, e la roccia dove la madrina di Elena diceva di incontrare la vipera con cui, secondo il racconto, aveva ripetutamente dialogato. La nostra mappa mentale e fisica si è ampliata e questo ha modificato in parte la sensazione di isolamento e la stessa collocazione di Codighu si è strutturata rispetto ad altri collegamenti e punti nello spazio. Il paesaggio, fatto di abitazioni, sentieri, alberi, dopo averlo vissuto si “apre”, il confine si sfuma, smette di essere limite per diventare permeabile, denso di significato e di affetto, diventa risorsa e contenimento, identità (anche se momentanea).
L’Atlante degli immaginari è creato e studiato dai quattro danzatori del collettivo e da Elena Rovera come uno strumento per strutturare quella che abbiamo chiamato Scuola degli immaginari, in cui, con attività aperte al pubblico, si possono trasferire e rivitalizzare le pratiche culturali.
Ci piacerebbe estendere il progetto dell’Atlante all’intero vallone di Moschieres, vedendolo come una parte del “corpo articolato” che lega borgate e mestieri (acciugai legati al mare, coltivatori di canapa legati ai tessitori più in basso), dove si intrecciano e dialogano diverse altitudini e attività lavorative differenziate.
Alessandra Fumai, collettivo Cifra_danzateatro





















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