L’intervista dopo il racconto di Quella che la matrigna l’aveva buttata nel pozzo

Testimone: Anna Rovera nata a Dronero il 27/02/1909, morta a Bra nel maggio del 2002
Intervistatrice: Elena Rovera
Luogo e data della registrazione: Bra, 20 marzo 1996

Intervistatrice: Mentre mi viene in mente: dimmi come cominciavano le storie, dillo bene con cal­ma, che il nonno come cominciava le storie.

Testimone: Ah, delle volte, forse non ne aveva voglia, ma lo faceva apposta, ah, beh, noi lo tentavamo, ah, beh, adesso ve la racconto: “Tempus abremus, operamus boni, et in galeravi, qui farina non ebbi, polenta non feci”, ma noi sentivamo quello lì, ma eh “Là in mès a Barge e Bagnol a iera ‘n demoni, nianca ‘l diàu ca lu völ”, ci faceva andar matti.

Intervistatrice: Dì di nuovo con calma quello lì, dillo bene vicino: tempus, dì con calma

Testimone: “Tempus abremus, operamus boni, et in galeravi, qui farina non ebbi, polenta non feci, an bot an mes a Barge e Bagnol a iera ‘n demoni, nianca ‘l diàu ca lu völ”. Ah, ci faceva sempre andar matti e noi dicevamo : “No, non vogliamo”, e c’e­ra poi Piera, c’era Piera: “Ma non quella lì, quella lì no”. Lui rideva e dice­va sempre quello lì, oh, ma avevano della pazienza con quelle storie, avevano della, pazienza, ma santa pace.

Intervistatrice: Dimmi una cosa, e tu cosa capivi, secondo te cosa volevano dire quelle parole, prova a dirle come, cosa capivi tu.

Testimone: Ma io capivo che quello, c’era uno che voleva raccontare una storia

Intervistatrice: Ma se dovessi tradurre quelle parole, dovessi dire, come diresti?

Testimone: Ma sai pa no, tempus abremus, operamus boni

Intervistatrice: Ma non ti facevi nessuna idea, cosa pensavi: tempus abremus

Testimone: Operamus boni, et in galeravis, qui farina non ebbi, che non aveva della farina, non faceva la polenta. Oh, ma ci faceva andar matte.
Non son più a posto, oh, ma io, io cantavo sempre da prima, oh, io cantava sempre da prima e poi c’era una sorella di Gian Pinemàt, Tinòt si chiamava, aveva un basso, e aveva voglia anche di cantare quello, quando potevamo cianté, cianté, eravamo andati all’erba, arrivavamo con la gerla, poi ci fermavamo in qual­che posto perché eravamo stanche e chièlo voleva subito ciantàr, cianté “Ciantùmo”. E suo papà era vedovo, suo papà erano proprio della gente allegra, suo papà era vedovo e non le diceva niente che cantavano e con la mamma diceva, mia mamma poi diceva “Gian Pinemàt, sì era serio, li faceva ascoltare, sai, i figli e mia mamma ha detto: “Io gli ho detto se te Gian che i giùe, la mio e la vostro ciantèn, lasèn chi ciantèn, a ciantàr i fan nèn de màl”. Mamma sì, mia mamma ha detto: “Io ho paura, suo papà poi la sgridava, la sua, perché era vedovo” “Lasèn che ciantèn, a ciantàr i fan nèn de màl “, vedi anche suo papà, lei si chiamava Tinòt , ah ma che voglia di cantare che aveva, ma erano tutti allegri, anche loro.

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