230503_0106 Michelino Ghio, la ciarbunierò, come si apre una latta di acciughe (3).mp3
Domanda: Mi piacerebbe, se tu mi racconti, come si apre una latta d’acciughe e come si capisce che le acciughe sono belle, sono buone.
Guarda, solo l’esperienza può spiegare queste cose. Perché ad esempio ci sono tante cose, quando si apre la scatola giù. Ad esempio normalmente sappiamo che il pesce della Spagna viene lavorato da metà di Marzo fino a metà di Giugno, così che alla metà di settembre si potrebbe già dire come sono le acciughe. Se hanno messo molto sale se l’hanno salata molto, ci mette più di tempo a maturare, a stagionare. Se ha troppo sale ci mette troppo tempo, anche lì bisogna vedere come è stata lavorata perché questo è molto importante. Ossia il sale va bene, ma deve essere salata e regolare e poi pressata anche in maniera regolare. Aprendo e tirando su perché magari con un coltello un po’ robusto si fa pressione da una parte e poi si manda giù il dito.
[….] Quando arrivava la stagione, ad esempio c’era lì, quello che adesso è diventato Senatore Perosino, ci mandava a chiamare che lui aveva un laboratorio e faceva i vasetti, i filetti, i carciofi, i funghi, insomma erano una piccola impresa, ma lavoravano bene e ci mandava a chiamare. Noi andavamo su in 4 o 5, i miei cugini di Voghera, e andavamo su. Lui ci offriva la cena e andavamo lì alla Trifula bianca a mangiare. E però appunto, voleva sentirlo il nostro parere, perché aprivamo magari due scatole a tre che poi loro lavoravano.
Perciò magari se se si faceva addirittura già la scamiciatura, ossia si cercava, battendo la scatola lì intorno, si faceva scendere il contenuto della latta e si guardava anche sotto, com’era stata lavorata, come era stata salata, insomma tutto solo guardando. Da questi aspetti si poteva capire se era pronto per la vendita o se aveva bisogno ancora di stagionali.
Domanda: davi un nome preciso agli attrezzi per aprire la latta? Mio papà usava un ferro, io mi ricordo bene, batteva un colpo col martello su questo ferro per bucare il coperchio della latta. Tu ecco, tu come facevi?
Adesso hanno hanno rivoluzionato tutto, adesso sai, non si apriva più battendo. Adesso non si aprono più le latte come allora. Hanno fatto un contenitore di plastica che sta giusto dentro la latta delle acciughe per far vedere, però dentro gli mettono qualcosa di plastica. Hai capito? Non c’è più la latta, per legge, è proprio una disposizione diciamo così igienico sanitaria che li hanno obbligati a fare queste cose qua.
Domanda: invece invece tu aprivi ancora col col ferro?
A metà, perché capitava che i piccoli negozi in provincia venivano al mercato e vedevano le acciughe. Le vendevano sciolte e chiedevano se non se ne potevano avere metà latta. Allora io magari tagliavo una scatola a metà, poi bisognava fare attenzione perché tagliando l’altra metà, poteva capitare di tagliarsi le mani. Allora io avevo inventato un piccolo marchingegno. Cioè un coltello che si era rotta la lama e un pezzo di legno.
Battevo e facevo il bordo in 5 minuti, gli facevo il bordo alla latta di modo che le mani non si tagliassero, perché un giorno mi sono tagliato la mano. E allora ho inventato questo marchingegno. Sei già stata al Museo degli acciugai ? Ci sono latte tagliate a metà. Io mi ricordo che adesso sono un po’ arrugginite, ma avevo portato delle latte tagliate a metà alle quali avevamo poi avevamo fatto il bordo.
Domanda: quando tu comperavi le acciughe, dovevi aver maturato una fiducia col laboratorio di salatura, dovevi sapere che son gente onesta. Tu, negli anni eri riuscito a crearti dei rapporti di fiducia con la Spagna, con la Sicilia?
No, no, direttamente con la Spagna. Noi non comperavamo direttamente dalla Spagna. Eravamo stati in Spagna e abbiamo conosciuto degli importatori che sono venuti anche in Italia, anche a casa mia a mangiare la bagna cauda. E perciò noi ci ci fidavamo del grossista. E si instaurava un rapporto che quando si andava a cooperare si aprivano le latte. A Genova, ad esempio, nel porto c’erano gli stagnini che noi aprivamo la scatola con un apriscatole adatto, oppure anche soltanto con una lama di coltello adatto. E si batteva col martello vicino al bordo. Si sollevava il coperchio, si guardava il prodotto e poi si richiudeva e si saldava di nuovo con lo stagno, perché magari non era ancora pronto ad avevi bisogno di stagionare ancora. Però si facevano un sondaggio, un sondaggio s’era pronto alla vendita o se aveva bisogno ancora di stagionare. C’era anche un modo, per esperienza, in cui tu puoi individuare una convenienza a comprare delle acciughe. Ad esempio, in questo momento perché il prezzo è buono, ma le devo lasciar maturare lì un anno, ma ritengo che varranno di più. Avevamo dei frigoriferi grandi che si metteva il merluzzo, si metteva le saracche, si metteva altri prodotti. C’era del prodotto che magari erano lavorate morbide, tu prendevi la latta, la capovolgevi e sentiva che si muoveva all’interno. Allora voleva dire che era già abbastanza matura e che era stata lavorata morbida, che era pronta la vendita. Ogni tanto se ne apriva una scatola dopo che avevi aperto la prima, magari la aprivi di nuovo e vedevi. Perosino, anche se ne aprivamo diverse latte, loro lavoravano subito perché c’erano le donne che le spinavano subito a mano con lavoravano, le mettevano sotto sott’olio di vasetti. In quel caso lì, anche se era un po’ acerba, lasciandole nel vasetto sott’olio, avevano modo di stagionare. Però stagionavano e si poteva vendere. Se invece era molto matura bisognava venderla subito. Anche se il pesce non è più come una volta, il mare si è alterato tutto e una volta duravano anche tre anni quando c’erano i barili, ad esempio i barili da 70 kg, addirittura poi 50 kg, poi 30 kg , li mettevano nelle cantine. Ogni tanto li guardavano e aggiungevano la salamoia. E magari gliela cambiavano perché veniva a galla del grasso che poi prendeva del rancido, bisognava cambiare la salamoia.
Domanda: la salamoia come la facevate?
Non è un problema, si fa bollire l’acqua, cosa molto saggia, per pulire l’acqua e metterci il sale e lasciarla raffreddare. Così eri sicuro che era ben sterilizzata e eri tranquillo.
Domanda: in che proporzione, quanta acqua mettevi, quanto sale?
Guarda, che sia poco liquida. Sopra la latta si metteva un bel tre dita di sale, e sopra si metteva una salamoia. Poi dopo magari si comprimeva con con una tavoletta di legno e ci mettevo sopra dei sassi.
Avevamo degli amici di Varigotti che quando c’era la pesca abbondante facevano la salagione loro e anche ai turisti che andavano, facevano amicizia con i pescatori e bisognava lavorare subito. Avevano quelle arbarelle di vetro che tenevano circa 1- 2 kg che poi se le portavano a casa. L’acciuga è molto importante lavorarla fresca perché l’acciuga, questo è un detto che me l’avevano fatto imparare in Spagna, appena pescata ha 12 virtù, ogni ora che lasci passare lei ne perde una, ogni ora che lasci passare non lavorandola, non mettendola via, non mettendola subito con un po’ di ghiaccio e il giorno dopo al massimo lavorarla. Quando cominciano a passare due giorni, tre giorni, anche se nel ghiaccio, si chiama pesce stanco. E perde di lucidità e il colore argenteo che è tipico dei pesci. E’ molto importante che sia pesce fresco, perché è più è fresco e più anche stagionando mantiene il suo colore bello, lucido, chiaro. Poi, maturando, è rossa, diventa rossa la carne. E profumata, certo. E infatti sulle latte scrivevano acciughe salate alla carne perché poi prende color carne stagionando. E tirandole su te ne accorgevi: se prendeva quel colore carne voleva dire che era pronto. Alla carne era scritto sulle latte, specialmente quelle da 20 kg, che poi a un certo momento le latte da 20 kg le hanno lavorate ancora fino al 1970, poi l’hanno addirittura le hanno tolte dalla lavorazione.
Domanda: quando giravano col carretto per per le colline come tuo suocero o anche mio papà, secondo te, vendevano già anche il merluzzo e le aringhe o vendevano solo acciughe?
Certo, anche merluzzo e aringhe.
Domanda: ma avevano rapporti diretti con la Sicilia, con la Spagna o lì c’era qualche grossista?
Guarda che tutti gli acciugai normalmente facevano capo a un grossista, Net di Alessandria e poi più tardi Salmone di Milano che è diventato miliardario, con le sue capacità manageriali, intuito, coraggio, volontà di emergere. Insomma, tante cose hanno portato questi caporioni a crescere. Il papà di Delpui, anche. Il papà di Battistin, appunto, che è morto del 60, in un incidente stradale. Battistin però si chiamava Mario.
Domanda: c’è qualcosa che si vendeva e non si trova più oggi?
C’erano posti dove vendevano molte saracche, che invece da Voghera verso Siena no, mangiano più le aringhe. La saracca era più pescata di stagione, era più carica di grasso sotto la pelle appunto, che facendola abbrustolita sulle brace, poi la immergevano nella polenta. Quel grasso lì, appunto, aveva un sapore particolare. E quei contadini che avevano anche il vino buono, perché mangiando la polenta con la saracca, era piuttosto salato. Poi avevano il vino diciamo così, da poter poter coprire tutto, capito? E qui si vedevano molte saracche; io l’ultima volta che appunto avevo trovato una partita di saracche inglesi, che poi hanno smesso anche là, perché era un piccolo pescatore che ne lavorava pochi bariletti all’anno. Poi è diventato anziano anche lui. Hanno smesso e non si è più trovato delle saracche belle come faceva lui. E l’ultima volta mi ricordo che ero andato a comperare alla dogana, qui a Pavia e ne avevo comprato una quarantina di di barili e nell’annata le davo io anche di barili grossi a qualche bottega, così ne avevo venduto addirittura 38 barili. Nota bene, e adesso un barile di 6 kg gli dura sei mesi. Hanno fatto anche i contenitori di 6 kg , per dire come è cambiato il mondo, come con il merluzzo. A nostri tempi c’erano le casse da 60 kg, adesso le fanno da 12 kg dei cartoni di cartone pressato, per questione di maneggevolezza. È cambiato il mondo. È cambiato il mondo.
Domanda: senti Michelino, adesso ti faccio una domanda tutt’altro genere, tu hai memoria di come facevano le ciarbunière?
Guarda, prima di tutto dovevano farci un piazzeletto, l’iral e preparavano un terreno abbastanza grande. Poi si facevano il ciabot, come dire una capanna che dovevano dormire la notte. E c’era tutto. Mio papà aveva 3 boschi e io gli portavo da mangiare perché, una volta accatastata la legna e la mettevano in piedi, messo tutta la legna tutti intorno, poi dovevano coprirle di foglie e mettere intorno molta terra, che non prendesse aria che non venisse fuori. E naturalmente in mezzo avevano fatto un buco che si poteva andare a buttare giù dei pezzi di legno da dargli da mangiare. E poi c’era un procedimento appunto da seguire, perché se si apriva quando tirava vento magari si incendiava. E allora il carbone veniva bruciato tutto e diventava cenere, invece doveva bruciare, ma stando chiuso non prendendo aria. Io portavo da mangiare al papà prima di andare a scuola e guardavo quando facevo la ciarbuniero. Io sarei in grado di farlo? Sì, sì, sì, altroché.
Domanda: ma quanto erano alti questi bastoni che mettevano intorno?
E beh, dipende da come si voleva fare. Grande appunto, si tagliava perché tagliavano prima la legna. Preparavano tutto a pezzi, tutto a pezzi. Poi che avevano legna pronto e si mettevano lì, facevano secondo quanto lo volevano fare grande e secondo la legna che avevano a disposizione. Facevano la carbonaia, la ciarbuniero.
Domanda: quanti uomini lavoravano a fare una carbonaia?
Mio papà, ad esempio, lui era da solo e lo faceva da solo. Dipende chi aveva la manodopera, se erano due o tre fratelli e il papà via, quindi quelli erano specialisti a far le carboniere.
Domanda: qual era lo scopo di creare del carbone?
Il carbone una volta fatto lo adoperavano e qui c’erano i ferri da stiro, quelli appunto a brace, che ci sono ancora e le nostre mamme ce li hanno lasciati in eredità, il ferro da stiro che adoperavano loro. Che il carbone lo si metteva, appunto, lo si incendiavano, si metteva dentro, si riempiva il ferro e poi si stirava.
Anche le piccole officine dei fabbri, per la forgia, perché il carbone scaldava di più che la legna normale, a un certo momento scaldava e scaldava di più ed era leggero perché ci voleva 5 Mg di legno per fare 1 Mg di carbone, ogni 50 kg si faceva 10 kg di carbone.
Domanda: e tuo papà, la tua famiglia il carbone, lo usavate per scaldarvi o lo vendevate?
No, non si vedeva, si portava e poi si vendevano i sacchi quelli di juta. Quei sacchi di juta che mettevano la meliga o il grano, mettevano la crusca e mettevano il carbone in quei sacchi lì appunto, portavano a vendere.
Domanda: quindi era un lavoro se lo portavano a vendere.
Eh sì, Eh. Era, era lavoro, era proporzionato, appunto il prezzo. […]costava 10 e quello lì costava 50 o costava 60 o anche 100 perché aveva comportato un lavoro non differente. Insomma, tutto era proporzionato.
Domanda: c’era qualche legno che era particolarmente adatto a diventare carbone?
Particolarmente adatto è il faggio, poi c’era anche il rovere. La betulla è un legno dolce e non andava molto bene. Il più adatto è l’amburn.
Domanda: fino a quanti anni hai visto fare le ciarbuniere?
Quando son venuto via, papà l’ha fatto l’ultima volta e io avrò avuto 12 anni. Poi papà non ha non l’ha più fatta, anche perché è diventato vecchio e si era si era ammalato, perché papà ha passato la vita di sfortuna, di disgrazie. La nostra famiglia è stata una delle famiglie più disastrate della zona. Perché lui è rimasto vedovo al tempo della spagnola e aveva perso la moglie e tre figli. È rimasto con quattro bambini piccoli. Aveva perso la moglie che non aveva ancora trent’anni. Poi dopo, dopo due anni di vedovanza che se l’è cavata a curarli su quattro bambini che c’erano rimasti, ha incontrato nostra mamma, poverina, che anche lei è sfortunata, perché da bambina erano anche tanti fratelli. Lei aveva preso giocando nel fango nei cortili e lo sporcizia aveva preso una malattia a un occhio ed è rimasta con un occhio solo. Arrivata a 27 anni, era andata a imparare a cucire. Poi a 27 anni si è stancata di andare al servizio e ha incontrato nostro papà e si sono sposati. Siamo nati ancora tre figli, io sono l’ultimo. Papà aveva perso il l’unico maschio che aveva su su sei. Un maschio quando aveva 5 anni purtroppo è morto di spagnola e una sorellina di due anni. E lui è rimasto vedovo con quattro bambine poi siamo nati ancora in tre. A me non mi aspettavano più, ma sono nato ancora io.
E poi quando mio fratello aveva 5 anni, sai, allora avevano lou fienil, dal porti. Cosa mettevano le gerle di paglia tutto accatastate. E allora quando dovevano fare scaldare l’acqua, l’acqua per dare …………, magari quando arrivavano dal mercato che l’asino era assetato, ci facevano……………un po’ l’acqua e la facevano scaldare sul fuoco. Allora andavano lì, prendevano una pignata di paglia da una gerba. Solo che un giorno le sorelle non hanno avuto molta cura. Hanno lasciato i fiammiferi per lì vicino al camino e mio fratello ha preso le cose ed è andato là. Ha dato fuoco alle gerbe. La casa ha preso fuoco. Era una giornata ventosa del mese di settembre. La mamma era nella stalla, le mucche in un attimo. E i vicini di casa erano in campagna, sono venuti a chiamarla mamma, papà era andato, forse era andato a fare il carbone al ciarbuniero. In breve hanno chiamato i vigili del fuoco, ma allora la strada era quella che era, sono venuti ormai quasi tutto bruciato e lì è cominciata. Poi mio fratello che aveva 5 anni, però ha capito che aveva combinato una guai grosso che allora è andato a nascondersi in un buisun nei bosch.
È rimasto due giorni e loro pensavano che fosse stato nel fuoco, perciò si son messi a gridare, poi capire, è stato uno show tremendo. Per tutti invece la.
Poi l’ha trovato dopo due giorni finisce l’anno scorso in un buisun lì poco lontano da casa e, per carità, sono stati orgogliosi e contenti di avere salvato il bambino, ma la disgrazia è stata grande e da allora papà ha dovuto farsi dei debiti per coprire il tetto.
