“Noi prendevamo la panna per fare il burro, poi la facevamo quagliare, più grossa che quella lì, la padella, facevamo quagliare e quando poi la mettevamo, quando era quagliato come fosse adesso, come dite, la brusa, la ricotta. La brusa, quella era ben legato lì, facevano scolare, quello si scolava lì, quando era ben scolato, si prendeva, si sbriciolava ben con le mani, per esempio lì in un bel piatto grosso, quella si metteva, ma noi avevamo quello da fare, certo che i nostri l’avevano lassù, eh , gente, allora aveva una cosa, lo chiamavamo la ‘fissella’, che aveva dei buchi intorno e mettevamo lì, noi chiamavamo le reirole, era delle pezze apposta, mettevamo quella brusa lì ben stretta, tutto a posto, e la mettevamo anche in quella cosa lì, poi gli mettevamo una pietra sopra, la lasciavamo stare lì un giorno, un giorno e una notte, allora poi prendevamo, la giravamo lì, metti che la giri sul tavolo, e quella faceva un, come fosse un panettone. Poi la mettevamo su un asse, avevano tutti quell’asse che era attaccato da una parte all’altra e lo mettevano lì e maturava. Nella cantina, nella cantina stava un po’ a maturare, a fare il formaggio buono, poi diventava un buon formaggio. Ma noi lo mangiavamo perché, ma, ce n’era qualcuno che veniva a cercare che, qualcuno diceva: “Non avete del formaggio?”. E non ne vendevamo mai, ma io ne ho venduto qualcuno quando ero sposata, e, ma prima a casa nostra no, perché eravamo tanta gente. Invece il burro lo vendevamo perché eravamo scemi, dico scemo , ma è perché che ne avevamo bisogno, oh, il nonno, qualche volta, il nonno, il nonno mio a sua casa, c’era uno, mio zio, che è quello che è morto alla guerra dell’Africa, ma non poteva sentire il formaggio e quando facevamo la polenta, allora il nonno diceva, : “A Pinotu fagli cuocere un uovo”, io ero là che guardavo quell’uovo, l’avrei mangiato con gli occhi, con gli occhi l’avrei mangiato, e mia mamma non ce lo dava mica, non è che avevamo tante galline, perché, ma ne avevamo due, due o tre galline e guardava per farne una dozzina d’uova, portarle a vendere, per dire, quella, la miseria della vita. E anche il burro la mamma ne toglieva un briciolino, un pezzetto, e poi diceva, noi facevamo le raviole alla domenica, solo alla domenica, e allora prendeva un pezzetto di burro, lo toglieva dall’altro, poi l’altro lo faceva bene; e quello lì lo metteva lì nel piatto e domenica facevamo poi le raviole, le raviole unce, e mia sorella Maria, quella, quella di Casale, a lei piaceva, e allora mia mamma gliene dava un briciolino, se lo mangiava, se lo mangiava Maria e il nonno diceva: “Ma dalle ai bambini le uova, non portarle a vendere”, e a Pinotu gli facevano sempre l’uovo, e io quando andavo, perché io andavo sempre dal nonno io, siamo stati allevati là, andavo sempre, vedevo quella polenta con quell’uovo e gli dicevo: “Eh, là, il nonno ha fatto la polenta, quei di Parsé, quei di Parsé han fatto la polenta, ma a Pinotu gli han fatto l’uovo”, e l’avrei mangiato con gli occhi, oh, ma non so”.
Anna Rovera, classe 1909
